La geopolitica al tempo della Via della seta 2.0

Nel 2017 avevo affrontato in un lavoro multimediale gli sviluppi della nuova Via della seta, il mastodontico progetto cinese di riavviare gli antichi contatti con i Paesi dell’Eurasia e, più in generale, con il resto del mondo. A inizio 2019, per il giornale per cui scrivo, ho ripreso in mano il tema e l’ho rielaborato per approfondire alcuni aspetti di geopolitica legati al nuovo espansionismo di Pechino.

Aprirsi al mondo

Fino a oggi il mondo ha guardato a una parte specifica dell’emisfero occidentale, gli Stati Uniti, ma inesorabilmente l’attenzione si sta spostando altrove, verso le coste asiatiche del Pacifico. La Cina si sta aprendo al mondo, riversando sull’economia mondiale grandi quantità di denaro e avviando così un’operazione di globalizzazione su larga scala. I grandi esperti dell’economia globale s’interrogano sulla natura di queste politiche tanto aggressive e si può affermare che stiamo assistendo a uno spostamento del baricentro. Dall’american style si passerà presto al chinese style. Certo gli Usa mantengono ancora il primato, ma la loro influenza economica sta perdendo pezzi. Una delle leve (non di certo l’unica) che Pechino sta mettendo in piedi è la cosiddetta Silk road initiative, ossia una rivisitazione dell’antica Via della Seta in salsa XXI secolo che prevede una serie di progetti e di investimenti miliardari in infrastrutture, industria e nuove tecnologie in tutto il mondo.

One belt, one road

Se si cerca una mappa su Google si nota subito la similitudine con l’antica Via della Seta, la tratta (terrestre e marittima) che collegava l’Europa all’Asia. Nel 2013 il presidente cinese Xi Jinping aveva annunciato l’iniziativa di ricreare la rete di contatti euroasiatica così da mettere in contatto Pechino con le realtà economiche (e politiche) del centro Asia e d’Europa. Un progetto mastodontico che in più fasi avrebbe poi riguardato tutti i continenti (compreso il sud America con l’Argentina). Per sostenere l’impegno è stata creata la Banca asiatica d’investimento per le infrastrutture (Aiib) con un capitale di 100 miliardi di dollari. La Cina è il principale socio con quasi 30 miliardi di capitalizzazione.

A seguire hanno partecipato con quote proprie anche altri Paesi tra cui India, Russia, Inghilterra, Germania e Francia. Anche l’Italia ha dato il suo contributo a partire dal 2015. “Il progetto non nasce subito con un’idea definita e si articola in più fasi”, spiega Filippo Fasulo, coordinatore scientifico del Cesif centro studi per l’impresa Italia-Cina. “Nel 2013 ad Astana (in Kazakistan ndr) è stata presentata la via terrestre e in Indonesia, un mese dopo, quella marittima. Il progetto è stato annunciato nel 2013 ma la presentazione ufficiale è del 2017. Il progetto si accompagna al tasso di crescita degli investimenti cinesi all’estero. Certamente il richiamo alla via della seta – continua l’esperto – è utile e i Paesi dell’Eurasia sono stati i primi ad interessarsi a questo progetto. C’è un elemento culturale che li accomuna tutti”.

Le criticità

Ma non è tutto oro ciò che luccica. Nonostante i grandi progetti messi in piedi ci sono pesanti ripensamenti sull’ingerenza cinese in alcune parti del mondo. “Ora siamo in un momento di svolta. Dopo l’accoglienza positiva di quasi tutti gli Stati coinvolti – dice Fasulo – stiamo vivendo un passaggio in cui si stanno muovendo una serie di critiche. Molti investimenti sono stati cancellati o riconsiderati come in Pakistan, Nepal, Malesia o Maldive perché non visti come promotori dell’interesse dell’economia locale, bensì come investimenti che pesano sul debito sovrano. Un esempio può essere lo Sri Lanka il cui debito si è evoluto a tal punto che c’è stata la concessione di un’area portuale alla Cina di 99 anni”.

…e la questione geopolitica mondiale

L’affacciarsi della Cina al mondo ha due conseguenze importanti che hanno entrambe a che vedere con la leadership di Washington. “Il fatto esplicito che la Cina possa materialmente spostare il baricentro dell’economia mondiale ha scatenato la reazione Usa”, continua Fasulo. “Già lo stesso Bush figlio aveva dichiarato di contenere la Cina, ma si è poi dovuto occupare di altro (guerra in Iraq e Afghanistan ndr).

Anche Obama ha cercato di fare altrettanto spingendo, per esempio, per il famoso Ttip. Ora con Trump si è arrivati alla messa in pratica di questa strategia di contenimento”. Fasulo offre uno sguardo globale alle vicende geopolitiche sulle sponde del Pacifico. “Si parla apertamente di nuova guerra fredda, ma non si parla tanto di nuovi equilibri geopolitici in senso stretto, bensì di un sfida alla leadership economica globale sul medio-lungo periodo. Il presidente cinese Xi Jinping ha dichiarato che entro il 2049 la Cina sarà un Paese completamente modernizzato grazie a una continua conversione dell’attuale economia.

Il progetto Made in China 2025 prende ispirazione dall’industria 4.0, ma ha un orizzonte più ampio. Non c’è solo la riconversione, ma una totale inversione verso un’industria con prodotti ad alto valore aggiunto. L’attuale trade war – analizza Fasulo – viene letta come tech war e in questa sfida è fondamentale il primato tecnologico”. Poi un avviso. “Noi oggi diamo per scontato che questo sia in occidente, ma presto ci sarà un avanzamento cinese sul medio-lungo periodo”.

Italia bifronte

Infine uno sguardo all’Italia. Negli ambienti europei risulterebbe essere l’anello debole per quanto attiene la penetrazione cinese in Europa. “L’Italia è interessata alla Cina per i ritorni economici. Uno, il più evidente, riguarda le infrastrutture. I porti dell’Adriatico sono approdi commerciali appetibili. Dall’altro lato ci sono gli investimenti cinesi in Italia. Si parla molto a livello europeo – continua Fasulo – delle ricadute di questi investimenti sul territorio o della loro natura predatoria. L’Unione Europea ha raggiunto un accordo politico sull’approvazione di uno screening degli investimenti, ma l’Italia ha una situazione ambigua. Pur dichiarando la volontà di controllare gli investimenti, il nostro Paese ha mantenuto una posizione critica sull’accordo”.

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