Si parla di golpe in Venezuela. Nicolàs Maduro è stato messo all’angolo da un ambizioso trentacinquenne di nome Juan Guaidò, presidente dell’Assemblea nazionale dal 5 gennaio 2019 che si è autoproclamato capo di stato al suo posto. Una situazione politica in stallo in quel di Caracas che mette nuovamente in discussione lo stato voluto e consolidato da Hugo Chavéz nel ’99 con il referendum sulla costituzione attualmente vigente. Al di là della situazione tragica nella quale si trova il Paese (crisi economica senza fine, inflazione alle stelle, destabilizzazione politica e sociale) sulle cui cause anche i media internazionali si contrappongono ferocemente (colpa del governo dittatoriale di Maduro o dell’isolamento internazionale voluto dal blocco occidentale?) c’è un altro tema da affrontare. Chi è legittimato a fare cosa tra Maduro e Guaidò.
Le vicende di Maduro e Guaidò
Andiamo con ordine. Nicolàs Maduro è salito al potere nel 2013 a seguito della morte per tumore di Chavez. Il 14 aprile 2013 batte Henrique Capriles Radonski di Prima la Giustizia, partito di centro-sinistra, a seguito di elezioni da quest’ultimo contestate, ma il cui esito viene ratificato dal Consiglio nazionale elettorale (Cne), che ufficializza la vittoria di Nicolás Maduro e la sua elezione alla Presidenza della Repubblica con il 50,78% dei voti contro il 48,95% dello sfidante. La rielezione avviene il 21 maggio 2018 al termine di elezioni altrettanto contestate dall’opposizione.
Juan Guaidò, invece, ha deciso di autoproclamarsi presidente della repubblica per spodestare Maduro e condurre il Venezuela fuori dalla crisi economica che perdura dal 2013. Un gesto che è stato subito accolto favorevolmente da un gran numero di Paesi. In primis gli Usa.
Golpe
Di colpi di stato è pieno il mondo. L’Africa è il continente più colpito ma anche le repubbliche dell’Asia centrale hanno conosciuto momenti di instabilità politica di questo tipo. Elezioni truccate, militari che occupano i centri del potere, autoproclamazioni. L’ultimo in ordine cronologico è quello in Gabon a gennaio 2019, quando l’esercito ha preso il controllo della radio nazionale, la Radio Television Gabonaise e ha deposto il presidente Ali Bongo. Dopo qualche ora, lo status quo è stato ripristinato e gli ufficiali che avevano partecipato sono stati arrestati. E che dire della Turchia nel 2016? La presunta deposizione di Tayyip Erdoğan ha tenuto le diplomazie mondiali col fiato sospeso tanto che per molte ore nessuna cancelleria sapeva bene a chi dare il proprio appoggio. Ai ribelli (per qualcuno solo presunti in quanto tutto orchestrato da Ankara), o al governo ufficiale e legittimo. C’è poi lo Yemen, anch’esso scosso da una guerra civile nata proprio da un tentativo di rovesciare il governo centrale. Potremmo andare avanti all’infinito, ma non è questo il punto. Ogni governo che si instaura o ogni personalità politica che vuole imporsi sulla scena nazionale ha bisogno di appoggi esterni che non si esauriscono in logistica o finanziamenti. No, servono dichiarazioni. Dichiarazioni come quelle di Trump e l’Europa in favore di Guaidò che viene ritenuto, non si sa su che basi, come legittimo presidente venezuelano. Il cortocircuito è proprio qui. Da una parte Maduro uscito vincitore dalle elezioni del 2018 (al netto delle polemiche di brogli) e dall’altra Guaidò, improvvisamente elevato a uomo del momento grazie al sostegno di Usa e Ue.
El carmonazo
Si sa che la politica fa spesso uso di propaganda ipocrita al fine di raggiungere i propri scopi e ancora una volta si ripropone uno scenario già visto in Venezuela nel 2002. In quell’occasione il politico ed economista Pedro Carmona Estanga si autoproclamò presidente venezuelano al posto di Chavez e subito ebbe l’appoggio di Washington che lo legittimò agli occhi del mondo come vero capo di Stato. El carmonazo, così chiamato il golpe di Carmona, durò poco e Chavez riuscì a mantenere intatto il suo ruolo grazie anche alla fiducia di una buona parte dell’esercito.
Legittimazione democratica?
Ma quindi chi legittima cosa? Un po’ come avviene per gli Stati che necessitano del riconoscimento internazionale per “esistere” e quindi avviare relazioni diplomatiche, anche i vari leader hanno bisogno di tutto questo (basta pensare alla Libia da anni divisa in due governi di cui uno solo è quello riconosciuto dall’Onu). Gli interventi esterni sono la consuetudine e sempre tenendo alta la bandiera della democrazia. C’è un forte abuso di questo termine da parte dei politici che amano giocarsi la carta “potere del popolo” per giustificare certe scelte. Anche in Venezuela è stato così. Gli oppositori di Maduro parlano di un nuovo presidente al suo posto per ripristinare la democrazia e avviare un processo virtuoso che porti i venezuelani fuori dalla crisi. Come farlo? Dare legittimità e appoggio a un promettente politico locale. Quanto di più antidemocratico ci sia, almeno stando ai discorsi pubblici dei detrattori di Maduro. Lo insegna il Cile di Allende che è diventato il Cile di Pinochet. Lo ricordano il Venezuela stesso, l’Iraq e l’Afghanistan. I leader scomodo vengono boicottati, quelli utili mantenuti e preservati.