Vita da cani, il randagismo “collettivo” in Nepal

La convivenza uomo-animale in Nepal è un dato di fatto. Non solo vacche in mezzo alle strade comodamente sdraiate nel traffico intasato di Kathmandu, o scimmie ladruncole nei luoghi sacri induisti. Anche i cani dicono la loro e aprono uno scenario interessante su una cultura che eleva l’animale a idolo. Perché sì, i cani hanno una loro venerazione, seppur inferiore rispetto alle già citate vacche o scimmie. Non è semplice trovare cani con i collari. Molti di loro ne sono privi e razzolano di casa in casa, di negozio in negozio per cercare cibo e acqua. Alcuni vengono scacciati, altri vengono accolti dalla collettività che si prende cura di loro. I randagi per definizione non hanno un padrone e quindi si affidano al buon cuore degli abitanti o agli scarti che si trovano per strada. La loro presenza è tollerata.

Un cane punta una scimmia seduta sopra una statua, piazza Durbar di Patan

Spesso li si vede dormire avanti ai templi mentre si celebrano ricorrenze religiose, all’ingresso dei musei o dei negozi o sul ciglio della strada. Ci sono quelli più solitari e quelli che vivono in gruppi e quelli che, addirittura, in certi luoghi della capitale, spartiscono il territorio con i macachi. Poi certo, non sempre le due specie vanno d’accordo. Nella piazza Durbar di Patan ho avuto modo di assistere a una sorta di “caccia alla scimmia” (una messa in fuga per la difesa del territorio probabilmente). L’esito lo si può vedere nel video qui sotto.

Città e villaggi

I cani sono spesso adagiati a terra intenti a fare un pisolino. Ad alcuni importa poco della presenza degli umani intorno a loro, soprattutto dei turisti. Che l’altarino sia dedicato a Vishnu o Shiva poco importa. Ronfano beatamente tra canti e suoni di campane nei momenti di preghiera. A Swayambhunath, luogo di preghiera per i buddisti, posto su una collinetta poco lontano dal centro di Kathmandu, alcuni convivono tranquillamente con le scimmie del posto, spesso vera attrazione per i turisti che si fermano a fotografarle. La concezione religiosa del Paese probabilmente permette un sincretismo uomo-animale difficile da vedere altrove. Ogni essere vivente ha una propria sacralità e per questo viene rispettato. Tra l’altro i cani sono così abituati alla presenza dell’uomo che sono facilmente avvicinabili (al netto di pulci e zecche). Si fanno accarezzare, coccolare, qualcuno gioca con loro facendoli saltellare o rotolare per terra come dei tarantolati. Ma se in città i migliori amici dell’uomo bighellonano spesso tra un sonno e l’altro, nei villaggi pre-himalayani la percezione è diversa. Non è raro che molti individui seguano i turisti lungo i percorsi di trekking o i coltivatori di riso nei campi. Percorrono lunghe distanze durante il giorno tra i vari villaggi collegati da strade fangose e dissestate. Due esempi? Il tragitto andata e ritorno tra i villaggi di Ghalegaun e Bhujung, oppure lungo la strada che conduce da Lwang ai campi di tè. In entrambi i casi due cani hanno seguito il gruppo di escursionisti, accompagnandoli lungo le ripide salite a gradoni e le strade fangose. Un fatto altrettanto curioso è successo a Sirubari. Io e alcuni miei compagni di viaggio, prima di andare a dormire dopo una bella cena, ci siamo messi a chiacchierare in camera, seduti comodamente su uno dei divanetti. Un randagio ci ha seguiti dalla piazza e si è rintanato ai nostri piedi. Scoccata l’ora di andare a dormire, abbiamo provato a farlo uscire, ma niente, non c’era verso di farlo muovere. Rimaneva a peso morto e non voleva saperne di lasciare il suo posto. Dopo un po’ decide di abbandonare la stanza con le sue gambe, ma nella sua testa già pregustava la sua rivincita. Approfittando di una distrazione e della porta lasciata socchiusa per andare in bagno (esterno), il cane si è intrufolato di nuovo rimettendosi a dormire sotto uno dei divani. Solo al mattino lo abbiamo notato scondinzolante in attesa che qualcuno aprisse la porta per farlo uscire. Una bella sorpresa!

Tra indifferenza e tolleranza

L’abitudine a volte può portare all’indifferenza. Si è talmente abituati a una convivenza quasi forzata, che a certe cose non si fa più nemmeno caso. Basta osservare le cerimonie religiose e funebri a Pashupatinath, nella periferia della capitale, sulle rive del fiume Bagmati. Purificazione del corpo con le acque del torrente, preghiere e incinerazione su grandi pire di legno. Beh anche in questi casi non è poi così strano vedere cani aggirarsi curiosi tra la folla e abbeverarsi mentre i parenti del morto preparano la salma per l’ultimo saluto. Altrettanto curiosa (almeno per gli occidentali) la presenza degli animali all’interno della sala consiliare di Sirubari, dove si adagiano da parte a osservare le faccende sbrigate dagli anziani del villaggio.

Kukur Tihar

A novembre, indù, buddisti, jainisti e sikh celebrano il Kukur Tihar. La ricorrenza dura cinque giorni. Il secondo di questi è dedicato alla fedeltà dei cani che vengono adornati con collane di fiori (come si usa per gli stranieri in visita) e segnati in fronte con la tintura chiamata pundra. Si festeggia il rapporto che lega da millenni l’uomo al cane. Quest’ultimo inoltre viene considerato, come moltissimi altri animali, messaggero o rappresentazione di una divinità. Yama, in questo caso, il dio della morte secondo la mitologia induista. Gli altri venerati sono i corvi (primo giorno), le vacche (terzo giorno), i bufali (quarto giorno).

La salute

Ma i randagi non godono sempre di buona salute. Alcuni esemplari hanno visibili malattie oftalmologiche, macchie di pelo mancante, pustole intorno al muso. Sono spesso portatori di parassiti come zecche, pulci e sanguisughe. Vivono a stretto contatto anche con altri animali domestici (vacche e pollame su tutti) e questo aumenta il rischio di infezioni. La rabbia è endemica e col terremoto del 2015 le condizioni degli animali di strada non sono migliorate. Molti sono rimasti senza padrone o una casa. Alcune associazioni di volontariato come Humane society international che si occupano di salute animale, sono intervenute per portare medicinali e vaccini agli animali sopravvissuti ed evitare il dilagare ulteriore di patologie canine.

Gyani Deula

Nel 2015 si è parlato di Gyani Deula, la “mamma dei cani di Kathmandu”. La signora Gyani, a seguito dell’evento, si è presa cura di alcuni randagi della zona, sfamandoli e abbeverandoli. Lei stessa, come ha ricordato il Nepalitimes quello stesso anno, era una senza tetto che aveva trovato rifugio nel tempio di Ganesh (la divinità con la testa di elefante) a Kamaladi. Gyani ha iniziato a radunare randagi intorno a sè nel 2009, quando si è stabilita nel tempio. Il gruppo di cani è cresciuto con gli anni arrivando a contare una ventina di elementi. La signora Gyani è morta nel 2015 all’età di 56 anni.

Tutto è nato da una telefonata una bella mattina d’estate. Il lavoro è stato possibile grazie anche ai consigli e all’idea di mio fratello Evandro, educatore cinofilo.

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