Ambasciata americana a Gerusalemme, una nuova Nakba

A volte il destino fa del sarcasmo difficile da comprendere. Nel giorno in cui i Palestinesi ricordano la Nakba (esodo palestinese del 1948), gli Stati Uniti inaugurano la propria ambasciata a Gerusalemme nel settantesimo anniversario della nascita di Israele. Sorrisi, applausi, tagli del nastro da una parte, proiettili, sangue e morte dall’altra.

Sangue e applausi

Una sessantina di manifestanti palestinesi è stata uccisa negli scontri che si sono verificati contro l’esercito israeliano. 2800 i feriti di cui 27 gravi. Secondo le autorità di Israele i membri di Hamas hanno cercato di superare il confine. Anche in Cisgiordania ci sono stati incidenti. Due dimostranti palestinesi sono stati feriti dal fuoco di militari israeliani durante i disordini sviluppatisi a Hebron nel corso di manifestazioni indette in occasione della Nakba. Altri incidenti, aggiungono fonti locali, sono avvenuti presso l’insediamento ebraico di Beit El, nella zona di Ramallah. Intanto, mentre si consuma la tragedia, Ivanka Trump posa sorridente davanti ai fotografi scoprendo la targa della vergogna. “Un gran giorno per Israele” ha dichiarato il presidente Trump.

I Palestinesi sono soli

In un videomessaggio Donald Trump ha ribadito che “Israele, come ogni Stato sovrano, ha il diritto di determinare la sua capitale”. Lo spostamento da Tel Aviv a Gerusalemme dell’ambasciata rappresenta un fortissimo segnale diplomatico. Rafforza l’asse Usa-Israele dopo gli scricchiolii percepiti nell’ultima amministrazione Obama, incrinando ancora di più il processo di pace in Medioriente. Questo potrebbe essere solo un assaggio delle conseguenze future. Intanto si sono sprecate le reazioni di sdegno. Russi e iraniani si sono limitati a criticare la decisione di Washington. La Turchia ha espulso l’ambasciatore israeliano. L’ambasciatrice statunitense all’Onu Nikki Haley, secondo quanto rivela l’Ansa, ha lasciato la sala del Consiglio di sicurezza mentre ha preso la parola il collega palestinese, Ryad Mansour, sulla situazione a Gaza. Mansour nel suo discorso ha detto: “Quanti palestinesi devono morire prima che facciate qualcosa? Questi bambini meritano di morire? Perché avviene questo massacro e il Consiglio di sicurezza non fa nulla? Perché siamo l’eccezione?”. La risposta a questa domanda, al di là delle dichiarazioni di rito che si ripetono da 70 anni, cade nel silenzio più totale. I Palestinesi sono soli, soprattutto nel giorno della Nakba. A volte il destino fa davvero del sarcasmo difficile da comprendere.

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