“C’è un solo Kurdistan”. Mi dice così una delle ragazze presenti alla manifestazione curda contro il massacro ad Afrin, a Clarastrasse, Basilea.
Un piccolo gruppo di manifestanti curdi riunitisi in una piazzetta, armati di bandiere, striscioni e volantini. Quest’ultimi rigorosamente scritti in tedesco.

Afrin! Afrin! Afrin!
Un ragazzo mi passa un volantino. Scorro lo sguardo lungo il testo in tedesco e capisco l’argomento solo dal titolo. Mi fermo e scatto qualche foto. Chiedo informazioni, ma il manifestante non parla bene inglese e mi accompagna da una sua amica. “Siamo qui per manifestare contro il massacro di Afrin”, mi dice.
Saranno stati una cinquantina i presenti. Tutti curdi a quanto mi ha detto la ragazza. “Vengo dal Kurdistan in Turchia”, risponde alla mia curiosità di sapere da quale zona provenisse. Ma la cosa che lei cerca di precisare è che “esiste un solo Kurdistan“.
Insomma poco importa se parliamo di Siria, Turchia, Iraq o Iran. I Curdi sono Curdi.
I bombardamenti
Dalla seconda metà di gennaio i Turchi hanno iniziato a colpire duramente l’enclave curda siriana. A operare sia le truppe di Erdogan che le milizie qaediste fedeli al nuovo sultano. Più di 150 civili uccisi, contro i sette persi da parte turca per la risposta dell’Ypg. Afrin è un fiume intorno al quale sorgono più di 350 villaggi curdi per un totale di un milione di persone. Nei bombardamenti turchi è stato distrutto anche un tempio neottita del primo millennio a.C.
Nonostante i Curdi siano stati tra i fautori della sconfitta dell’Isis, sono stati abbandonati dalla comunità internazionale. Ankara bombarda perchè li considera terroristi. Russia e Siria hanno condannato, a parole, le azioni turche.