Zona demilitarizzata coreana, un cortometraggio la racconta

Considerare sacro uno spazio inabitato che divide due Paesi in guerra. Un controsenso forse, ma il cortometraggio della regista sudcoreana Hayoun Kwon chiamato “489 years”, risultato uno dei vincitori al Milano film festival 2017, ha voluto mettere l’accento proprio su questo aspetto.

Viaggio in prima persona

Sembra un videogioco, ma non lo è. La prospettiva è quella di un tipico sparatutto, ma racconta il punto di vista di un soldato sudcoreano che ha vissuto per vent’anni nella Dmz (Demilitarization zone) tra Corea del Nord e Corea del Sud (il famoso 38° parallelo).
La trama è semplice eppure imperniata di solennità. Un viaggio che in breve racconta la vita di un militare che ha passato buona parte della sua vita in quella terra di nessuno dove le uniche compagne erano la paura di morire e le mine antiuomo sparse ovunque.

Con la visuale in prima persona si attraversano cancelli, si superano fossati e ci si immerge nella malinconica atmosfera di una foresta coreana durante una ronda notturna. La voce narrante fa il resto e spiega, sempre in prima persona, le sensazioni di una vita vissuta sul filo del rasoio.

Sacralità

Quello che colpisce, o che ha colpito me, è stata la sensazione di abitudine. L’abitudine di dover convivere con una barriera messa lì da decenni. Con questa idea di abbandono e distanza ci si nasce, ci si cresce e ci si muore. Una sacralità che contraddistingue la vita delle due Coree.

Biodiversità e filo spinato

Il risultato di questa divisione, per quanto curioso, è stata la creazione di un’area protetta dove animali e piante hanno trovato un habitat ideale e incontaminato. Nessuna costruzione, nessun intervento diretto dell’uomo a modellare il paesaggio. Un ecosistema complesso che percorre tutti i 250 chilometri di lunghezza (e 4 di larghezza) della penisola preservando specie animali come la gru della Manciuria, la gru dal collo bianco, la gazza azzurra e gli ancor più rari leopardo dell’Amur e il goral.

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