Un fine o il mezzo per raggiungere altri fini? Domande alle quali non è semplice trovare risposta, ma che è lecito porsi se si pensa alle dinamiche negoziali che stanno avvenendo in questi mesi tra i Paesi membri dell’Ue. Il dossier italiano è stato presentato a luglio, la candidatura è ufficiale. Aziende farmaceutiche, governo, enti locali, operatori del terzo settore fanno il tifo per Milano. A favore del capoluogo lombardo si è schierata anche la prestigiosa rivista Lancet, che ha sottolineato i meriti scientifici e “morali” della città e dell’Italia. Tuttavia nell’aria è percepibile la consapevolezza e il timore per un il risultato che potrebbe non arrivare. Secondo alcuni rumor provenienti da Palazzo Chigi, la partita si dà addirittura per persa. Ma d’altra parte, sarebbe stato dannoso non provarci. Se fossimo in una partita di tennis le negoziazioni per l’Agenzia del farmaco sarebbero solo un set di un incontro molto più lungo e complesso. Il risultato della frazione di gioco potrebbe inficiare negativamente l’esito finale del match, ma sta al tennista decidere cosa concedere all’avversario. L’Italia in Europa si gioca faccia e credibilità politica.
Migrazioni, debito pubblico e relazioni diplomatiche sono i veri temi su cui le cancellerie continentali si stanno scontrando.
Do ut des
Nel quadro politico attuale, l’Italia ricopre posizioni di vertice in Europa. In ordine sparso, i primi che vengono in mente sono Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza; Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo; Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea; Giovanni Buttarelli, Garante europeo per la protezione dei dati e Guido Rasi, direttore generale della stessa Ema. Se la partita per Ema sarà politica, come in molti sostengono, allora la posizione della candidatura italiana potrebbe essere molto debole: Roma ha già ottenuto molto dall’Europa, inutile avanzare altre pretese. “Mogherini e Tajani resteranno in carica, fino alle elezioni parlamentari di maggio 2019 e forse Mogherini non verrà riconfermata. Tajani anche lascerà la carica soprattutto se dovesse crollare l’accordo di coalizione tra socialisti e popolari. Anche il mandato di Draghi scadrà a ottobre di quell’anno. Tutti i vertici vedranno il termine nel 2019”. A delineare il quadro da qui a due anni è Matteo Villa, ricercatore ed esperto di politiche europee dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi). A suo dire, se i negoziati di Ema avvenissero nel 2019 l’Italia potrebbe anche spuntarla. Ma non allo stato attuale. Eppure il trasferimento di Ema avverrà proprio nel 2019, allo scadere dei mandati dei tre tenori italiani in Europa. Purtroppo, sempre secondo Villa, “le decisioni politiche vengono prese senza lungimiranza, bensì basate sul momento”. Poi una suggestione. “C’è da chiedersi se l’Italia vorrà giocarsi l’Ema o un commissario di peso. Ema farebbe sicuramente bene a Milano ma non è detto che farebbe bene all’Italia nei prossimi due anni”, continua Villa. L’Agenzia retta da Guido Rasi (che ufficiosamente dice un gran bene del dossier italiano) potrebbe dunque rappresentare una moneta di scambio? Strategicamente, se fossimo nel 2019, l’Italia sarebbe tra i primi posti”, sottolinea ancora l’esperto. Di diverso avviso è invece Lorenzo Vai, ricercatore dell’Istituto affari internazionali (Iai). “Personalmente ritengo che le cariche istituzionali ricoperte da italiani non incideranno sul successo o il fallimento della candidatura di Milano. È probabile che a prevalere saranno altre dinamiche negoziali”, dice.
Dinamiche che Vai ha visto concretizzarsi in un episodio specifico. “Finora l’azione del sistema Paese sembra funzionare. In tal senso andrebbe anche interpretata l’iniziativa del ministro Beatrice Lorenzin al vertice informale dei ministri europei della Salute che si è tenuto a La Valletta lo scorso 8-9 maggio, durante il quale il ministro ha cercato di riunire diversi piccoli-medi Paesi europei (Spagna, Portogallo, Grecia, Cipro, Malta e in un secondo tempo anche Romania e Irlanda, ndr) nel lancio di una cooperazione per la negoziazione dei prezzi dei farmaci. Un’azione diplomatica – continua il ricercatore – che a molti è sembrata funzionale a cercare consensi (e voti) in vista della candidatura di Milano. D’altro canto, a sfavore della candidatura italiana potrebbero presentarsi problemi come il numero di agenzie europee già ospitate, o la nazionalità dell’attuale direttore dell’Agenzia, l’italiano Guido Rasi”. Oltre alle cariche politiche ci sono anche altre richieste che l’Italia ha avanzato in sede europea. Non ultima quella relativa ai migranti per cui è in atto un estenuante braccio di ferro con i Paesi vicini per il ricollocamento degli sbarchi. “Il dossier migrazione è troppo importante per l’Italia per accettare concessioni che potrebbero valere l’assegnazione dell’Ema a Milano. Il do ut des in questo caso – continua Vai – sarà a nostro sfavore.
Diverso è il caso contrario: sostenere la candidatura di un Paese in cambio di sostegno sulla questione migranti. La scelta potrebbe avere teoricamente senso, ma nella pratica è più difficile immaginare un cosiddetto ‘linkage issue’ negoziale su questioni così distanti, e che vedono sul tema delle migrazioni posizioni troppo eterogenee tra i Paesi. A meno che non si parli di Francia o Germania, conquistare il sostegno di un solo Stato non cambierebbe la situazione di stallo politico che stiamo affrontando in Europa”. In più, lo ricordiamo, va tenuto in conto che in questo periodo i rapporti che l’Italia ha con alcuni “pesi massimi” dell’Ue non sembrano idilliaci. Basti pensare alla vicenda Fincantieri, in cui la Francia ha preferito nazionalizzare i cantieri di Saint Nazaire piuttosto che cedere la maggioranza all’azienda italiana.
L’incognita Bratislava
Nelle settimane successive alla pubblicazione dei criteri da parte del Consiglio europeo, tra le candidate che potrebbero avere una chance è spuntato il nome di Bratislava. Un’outsider la capitale slovacca, sostenuta dal fattore geografico che potrebbe favorirla. Oltre ai criteri tecnici e politici, c’è quello che prevede la redistribuzione delle agenzie negli Stati che attualmente ne sono sprovvisti. Tutti orientali e da poco entrati a far parte dell’Ue.
“Il criterio geografico – spiega Vai – ha un peso che non va sottovalutato. Lo stesso documento a firma Tusk-Juncker fa riferimento a un desiderabile criterio di diffusione geografica delle sedi delle agenzie Ue (obiettivo che fu affermato nel 2003 dai governi degli Stati membri durante un vertice europeo). Se a questo si aggiunge che Paesi come Bulgaria, Croazia, Slovacchia o Romania non ospitano alcuna agenzia europea, le loro richieste sembrano acquisire legittimità e importanza.
Ciononostante – continua il ricercatore –la nuova sede dell’Ema dovrà rispondere a criteri logistici alquanto severi, che potrebbero avere la meglio su quelli geografici. Non da ultimo, va considerato il peso politico di alcuni Paesi, i quali potrebbero mostrare una forza negoziale insufficiente per costruire delle alleanze di voto in grado di contrastare ‘big’ come la Francia”.
Villa aggiunge che la scelta di Bratislava apparirebbe eccessivamente “burocratica”, tuttavia lo scenario che si aprirebbe con la Slovacchia spaccherebbe l’Europa in due. Da una parte gli Stati occidentali, dall’altra quelli del blocco di Visegrád (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e, appunto, Slovacchia) che potrebbero fare squadra per far convergere i voti verso il candidato orientale più forte. “Non sarebbe più una questione di criteri”, ragiona Villa. “Quando si arriva all’ultima votazione, tutti convergono”, continua il ricercatore, che ipotizza: “se l’Italia fosse fuori, dovrà decidere a chi dare il voto. I Paesi della famosa Ue a dodici o quindici sarebbero svantaggiati a causa delle animosità che esistono tra di loro”.
Ma il quadro è ancora più complicato, perché secondo alcune indiscrezioni, citate dal Corriere della Sera il 16 luglio scorso, la capitale slovacca potrebbe anche stringere accordi con la vicina Vienna e beneficiare del maggior traffico aereo della città austriaca. Un po’ come la Germania ha paventato di fare con la Francia (candidando Lille su suolo francese ma al confine belga), nonostante le secche smentite della cancelliera Angela Merkel. A proposito di Francia, i due esperti concordano sulla difficoltà di realizzazione del piano Macron di cedere la sede parlamentare di Strasburgo in cambio di Ema (ipotesi poi tramontata). Emblema questo di un “cerimoniale consolidato, ma inutile”, commenta Villa, ma che rappresenta un simbolo delle istituzioni europee. Lo stesso Tajani ha mostrato scetticismo.
“Non siamo al mercato, la valutazione su dove mettere l’Agenzia europea del farmaco va fatta sulla base dei criteri elaborati a livello europeo. Non può essere scelta in base a un baratto”, ha affermato il presidente dell’Europarlamento.
Basso profilo
Il contesto è magmatico e tante le variabili in campo. A oggi le istituzioni italiane, tra Comune di Milano e Regione Lombardia, sono rimaste piuttosto abbottonate. Anche nella presentazione ufficiale del dossier nella sala Belvedere del grattacielo Pirelli lo scorso 24 luglio, né il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, né Roberto Maroni, né il sindaco di Milano Beppe Sala, né l’ambasciatore Enzo Moavero Milanesi si sono sbilanciati. Il mantra che ripetono tutti è che Milano è la città ideale, ricca di opportunità e di servizi efficienti. “Che Milano parli soltanto è simbolo che ci stiamo tirando un po’ indietro”, teme Villa, facendo riferimento sia a una campagna promozionale che ha stentato a decollare, sia per la nomina di Moavero Milanesi come alfiere della causa italiana, in netto ritardo rispetto ad altri competitor, come la Danimarca. Anche Pietro Paganini, executive director di SelectMilano, comitato di promozione per la città meneghina, ritiene che le istituzioni sono in grande ritardo nei confronti dei competitor. “Bellissima l’iniziativa della presentazione del dossier al Pirellone – commenta – ma è arrivata troppo tardi”.
“L’Italia non avrebbe potuto mettere sul piatto quello che hanno messo gli altri”, continua Paganini, ripensando alla contropartita francese di Strasburgo. “Non avrebbe portato a nulla se non al mantenimento di un apparato. L’Ema porterebbe invece investimenti”. Buone notizie, invece, sul fronte elettorale. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha assicurato che non ci saranno chiamate alle urne in ottobre. Al netto di colpi di scena il governo Gentiloni rimarrà in carica almeno fino alla prossima primavera, garantendo la stabilità necessaria per le negoziazioni. Anche Villa ritiene che il voto a ottobre avrebbe incrinato le opportunità italiane nella corsa all’Agenzia del farmaco. “Un elemento pericoloso”, sostiene l’esperto. “Il governo diventerebbe miope”. Inutile per un esecutivo impegnarsi in un’impresa che non lo avrebbe visto protagonista. Ne sarebbe andato dell’immagine del Paese e della politica italiana che negli ultimi anni, secondo il ricercatore dell’Ispi, non ha brillato. “Quando l’anno scorso si è votato per il seggio non permanente all’Onu, l’Italia era candidata, ma è andata male. L’abbiamo vinta insieme ai Paesi Bassi. Questo ha dimostrato scarsa forza dell’Italia a livello internazionale. Abbiamo accettato un compromesso pur di non dire di averla persa. Non so quanta carne al fuoco il governo voglia mettere sapendo che si parte da una posizione svantaggiata. Altri Paesi più piccoli sono più avanti” conclude Villa. Ma non è detto che il basso profilo non nasconda una strategia ben precisa, ossia scoprire le carte all’ultimo, quando i giochi sono fatti anche per gli altri. Un po’ come il pedone che silenziosamente scivola all’ottava casella e si trasforma in regina.
L’interesse immobiliare
L’idea che l’Agenzia europea dei medicinali possa approdare a Milano ha già portato i primi contatti dall’estero per la valutazioni immobiliari delle possibili sedi. A confermarlo è Alexei Dal Pastro, general manager di Beni Stabili, società attiva nell’immobiliare meneghino. “Sì, abbiamo avuto contatti. Tra le altre cose facciamo regolare attività di road show a Londra e questa è occasione di contatti diretti. Certo, sono state solo chiacchierate e non c’è nulla di concreto”. Insomma, Brexit come opportunità anche per il mercato immobiliare oltre che per l’indotto farmaceutico milanese e italiano nel suo complesso. Ma la prima scelta è il Pirellone che potrebbe diventare, a detta del presidente di Regione Lombardia, Roberto Maroni, la sede definitiva dell’Agenzia, se le circostanze lo richiederanno.