Sei anni di guerra e una soluzione al conflitto che appare lontana. La partita a scacchi che si gioca tra Siria e Iraq per il controllo del Medioriente passa sulla pelle della popolazione che oltre ai bombardamenti e agli eccidi, deve vedersela con lo spettro delle malattie. Una conseguenza nota, ma che fa sempre bene sottolineare. Sono varie le associazioni che si occupano delle cure per la popolazione, da Emergency a Medici senza frontiere, giusto per citare le più grandi e organizzate.
Il rischio di epidemie è alto. Sara Ferrer è un’infermiera professionista che lavora per Msf da quasi 10 anni e lancia l’allarme. “Il sistema EWARN (Early Warning System, che riferisce alle autorità sanitarie) riporta casi di infezioni in tutto il paese (nelle province di Raqqa, Idlib, Aleppo e nelle aree rurali di Damasco). Al momento si tratta di casi limitati, ma ci sono. Il rischio è dato dalla somma di fattori come la mancanza generalizzata di vaccinazione e lo spostamento di massa della popolazione. Alcune di queste infezioni sono trasmesse per via aerea, per questo potrebbero diffondersi come un’epidemia che non possiamo controllare“.
Senza contare nuovi focolai di morbillo e il ritorno della poliomielite (debellata anni fa) anche patologie prevenibili e curabili sono diventate mortali per la riduzione dei servizi offerti. A risentirne soprattutto la traumatologia.
Negli ultimi anni i metodi di cura sono molto cambiati. Il bilancio a sei anni dall’inizio del conflitto disegna uno scenario per certi versi nuovo.
1) Per evitare “gli effetti collaterali” dei bombardamenti molti ospedali vengono creati in zone underground, non riconoscibili e poco in vista. Anche le sale operatorie, le unità di terapia intensiva e di pronto soccorso vengono spostati nei sotterranei.
2) Il personale si è ridotto notevolmente a causa dei bombardamenti che spesso hanno colpito gli ospedali internazionali.
3) Gli ospedali sono diventati luoghi da evitare. La popolazione preferisce rimanere in casa e trovare cure alternative al classico ricovero. Scoraggia il rischio di attacchi.
4) Cambiano le terapie. A molti pazienti dimessi prima del tempo vengono somministrati farmaci orali anziché intravenosi e le ustioni (in aumento) non vengono trattate come si dovrebbe.
5) Diventa sempre più difficile se non impossibile seguire i malati cronici, cioè diabetici, ipertesi o cardiopatici. Mancano le medicine e molte persone vanno dal medico solo quando le loro condizioni si aggravano.
Una soluzione potrebbe essere la decentralizzazione dei vari servizi e spargerli sul territorio. In questo contesto anche la telemedicina (cioè la medicina da remoto), potrebbe tornare utile. Un paziente potrebbe essere seguito dal medico grazie ad applicazioni e tecnologia informatica, senza dover mettere a rischio il paziente.
Msf chiarisce in vari comunicati che sta tentando questa strada, ma non sono chiari i tempi in cui questa prospettiva potrà essere realizzata.