Design antimine

Mine Kafon non è solo un dispositivo antimine, apre anche una discussione sulla sicurezza globale

Massoud Hassani

“Mine Kafon” è un progetto nato per ispirazione artistica, ma che si è evoluto in un dispositivo antimine. L’ideatore è il quarantenne designer afghano Massoud Hassani.
Ecco come funziona:

Massoud con la sua famiglia si è stabilito in Olanda dove ha studiato design industriale all’Accademia del design di Eindhoven.

Ispirato dalla sua infanzia in Afghanistan, Massoud ha riprodotto in grande alcuni giocattoli (simili a delle palle di carte) che rotolano a terra spinti dal vento. L’idea gli è venuta in occasione della sua laurea ottenuta nel 2011 e ha avuto subito fortuna. Insieme a suo fratello Mahmud, nel 2012, ha organizzato una campagna di raccolta fondi per sviluppare il progetto, che, nell’assemblaggio dei pezzi, viene a costare solo tra i 20 e 40 dollari. Alla ricerca si è interessato anche il Ministero della difesa olandese. Massoud, sempre insieme al fratello, ha fondato quindi una società la Hassani Design BV nella quale sono confluiti sia designer e ingegneri da varie parti del mondo (per un totale di 9 persone). È stato fatto anche un documentario, prodotto da Ardent film.

Un prototipo di un altro dispositivo antimine

Il device è composto da un nucleo centrale in ferro di 17 kg e delle “gambe” in bambù con al termine una sorta di “piedi” di plastica. Le canne di bambù esplodono al contatto con la mina, lasciando però integro il cuore del dispositivo. In quest’ultimo, infatti, è inserito un Gps per mappare tutte le mine che vengono fatte esplodere.
In molte parti del mondo si usavano i metal detector con l’inevitabile pericolo per gli operatori. I dispositivi sono poi stati sostituiti dai cani o dai topi, mettendone a rischio l’incolumità.
Nel 1999 le mine antiuomo sono state messe fuori legge dalla comunità internazionale (trattato di Ottawa), anche se molti Paesi, una trentina, continuano a produrle e/o a usarle tra cui Pakistan, India, Myanmar, Usa, Russia e Sud Corea. Sono circa 60 i Paesi nel mondo interessati da questo problema.

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