Ripercorrere i passi di Marco Polo e raggiungere la Cina. L’impero celeste ne ha fatta una delle sue aprendo il portafogli e lasciando tutti senza fiato proponendo la restaurazione, in chiave moderna, dell’antica via della seta. One belt one road il motto di questa iniziativa. La notizia è di quasi quattro anni fa, del 2013, quando Xi Jinping, presidente della Repubblica popolare, ha dato l’annuncio. Investimenti per oltre 40 miliardi di euro e una banca apposita (Banca asiatica per gli investimenti e le infrastrutture), per finanziare progetti negli oltre 60 Paesi aderenti all’iniziativa. Un’idea come tante, quella dei Cinesi, per ampliare il proprio raggio d’azione finanziario e mettere le mani su avamposti economici funzionali alla sua politica egemonica.
Markus Taube, professore della East Asian economic studies alla University di Duisburg-Essen, crede che l’iniziativa “rafforzerà la strategia economica e diplomatica della Cina in Europa e farà da contraltare a quella americana“. Insomma un concorrente scomodo per lo zio Sam.
Da valutare poi l’effetto Trump. Se il presidente Usa dovesse davvero mettere un freno al Trattato trans-pacifico (Tpp) tra i Paesi che si affacciano sul grande oceano, molti Stati di quell’area potrebbero fortemente interessarsi alla proposta cinese. Senza considerare lo stop al Ttip che nessuno vuole.
La creazione di questo progetto metterà alla prova le relazioni diplomatiche di Pechino non solo con gli Usa, ma anche con la Russia. Il Great Game geopolitico con il Cremlino, ad esempio, si disputerà in Asia centrale, in quei Paesi un tempo parte della costellazione delle repubbliche sovietiche. Un gioco di ingerenza e collaborazione pericoloso e dagli esiti incerti. Gli investimenti del dragone fanno gola agli imprenditori uzbeki, kyrgyzi e tajiki, ma Mosca vigila attentamente. Torna attualissimo l’articolo scritto da Luttina Ilenia Buioni su Caffegeopolitico a luglio 2016, secondo il quale la Russia ha sempre cercato di mantenere saldi i rapporti con le repubblica centroasiatiche istituendo vari organismi economici e finanziari per inglobare gli interessi dei singoli Stati a quelli russi (Comunità degli Stati Indipendenti, istituita nel 1991 (CIS); Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, sorta nel 2002 (CSTO); Unione Economica Eurasiatica, varata nel 2014 (EAEU).
C’è poi la questione dei conflitti. Perchè in molte aree interessate dalla costruzione di nuove infrastrutture sono attivi gruppi terroristici e separatisti come in Afghanistan (che influenzano i vicini Uzbekistan e Kyrgyzistan) e in India con la questione Kashmir ancora aperta. Qui la partita si fa interessante. L’India è interessata solo in parte (nella zona dell’Hindukush a nord-ovest) dal passaggio del corridoio economico cino-pakistano che collega il porto pakistano di Gwadar con la città cinese di Kashgar. Parte di questa via comunicazione passa in Kashmir, territorio conteso tra India e Pakistan. L’india è poco convinta del progetto cinese allo stato attuale, anche perchè l’unico allaccio che avrebbe con la Cina è quello che collega Calcutta con Kunming via terra.
Secondo gli australiani il progetto cinese è una sorta di nuovo Piano Marshall e aggiungerebbe nuovi corridoi commerciali a quelli già esistenti tra Asia ed Europa.

Il sito Theaustralian.com rivela che la Banca asiatica per lo sviluppo ha previsto investimenti di un trilione di dollari l’anno entro il 2020 se si vogliono realizzare le infrastrutture necessarie per sostenere il flusso commerciale. L’area più indicata per questi finanziamenti è quella indocinese, molto carente da questo punto di vista. Un esempio è la valle del Mekong interessata da investimenti per oltre 50 miliardi di dollari.
Ma quali sono le tappe di questa nuova via? Ecco una mappa interattiva per visitare alcuni dei luoghi interessati scoprendo, con sorpresa, che Venezia è uno degli snodi commerciali più importanti in assoluto, allaccio tra la via marittima e quella terrestre. Basta cliccare sull’immagine sotto e si parte. Buon viaggio.
