Sono andato al Festival della fotografia etica di Lodi perché interessato ad una mostra, ma alla fine mi sono innamorato di un lavoro che, almeno all’inizio, nemmeno avevo considerato. Il mio tutor di tv direbbe “tanta roba” e “tanta roba” è stata. Un festival ricco e variegato, per tutti i gusti, con temi sull’ambiente, società, politica, esteri.
Ecco le mostre che più mi hanno colpito:
La cosa più strana della guerra è che ti abitui ad avere paura

Una citazione scritta sotto una delle foto di Magnus Wennman, tratta dalle parole del bambino siriano Mohammed, uno dei tanti piccoli profughi che non hanno più una casa e cercano riparo dove capita per passare la notte. Foto tristi, che aggrovigliano le viscere. I bambini, ancora loro, gli unici a schiaffeggiare le coscienze dell’occidente, seppur per qualche giorno.
Revogo: delle 50 città più pericolose del mondo, 42 sono in Sud America. Di queste 19 in Brasile. Tra il 1980 e il 2011 le morti violente tra gli adolescenti sono cresciute del 207% e se consideriamo gli omicidi parliamo di un +326%.

Dati che André Liohn ha trasposto bene nelle sue fotografie, soffermandosi sulla situazione dei bambini, costretti a vivere con le armi in mano quando tra le dita non stringono droga.
Political theatre: soprattutto politica americana e soprattutto Trump contro Clinton nel lavoro di Mark Peterson. Ma di tutte le foto merita attenzione uno scatto.

Uno di questi mostra un ragazzino con in mano un’arma giocattolo, mentre un adulto ne impugna una vera. Rappresentazione di una mentalità controversa e difficile da sradicare quella delle armi.
Waiting girls: un lavoro tutto al femminile quello di Sadegh Souri che si è addentrato nei penitenziari femminili iraniani.

Nel Paese la pena di morte viene comminata dai 9 anni in su, ma non scatta prima dei 18. Nei suoi ritratti di donne le storie di Zahra (14 anni), Sowgand (16), Khatereh(13), Mahsa (17). Quello che si percepisce è l’attesa, un’attesa quasi claustrofobica, complice forse il piccolo spazio espositivo che con tre pareti costringe i visitatori a stringersi gli uni con gli altri. Sì, manca il fiato.
C.A.R: uno sguardo sul Centrafrica da parte del fotografo William Daniels e sui massacri perpetrati dalle milizie cristiane/animiste anti-Balaka sui musulmani Seleka.

Uno scorcio di realtà taciuto dai grandi media ma che riguarda milioni di persone nel cuore del continente nero. Il lavoro di Daniels ci ricorda una cosa ai tempi dell’Isis. L’orco non si nasconde solo dietro la mezzaluna, ma anche dietro la croce.
Mitakuye Oyasin: Aaron Huey si immerge nella comunità Oglala Lakota a Pine Ridge. I problemi dei Pellerossa vengono a galla. 90% di disoccupazione, 70% di abbandono della scuola, mortalità infantile del 300% in più rispetto al resto del Paese. Aspettativa di vita di 42 anni.

Pine Ridge è lo specchio di una crisi sociale iniziata secoli fa e che è proseguita con un isolamento culturale forzato. “Survived catholic school”, recita la maglietta di una ragazza costretta, come molti dei suoi familiari, ad abbandonare le proprie tradizioni in favore di quelle cristiane. La foto emblema è quella del piccolo J.C. Shot che fa il bagno nel lavandino della cucina per mancanza di spazio nella sua casa.
Latidoamerica: un pugno sullo stomaco. Di quelli alla Mike Tyson che ti stendono. Le foto di Javier Arcenillas svegliano la coscienza come poche altre. Crude, violente, severe. Il bianco e nero grida in faccia all’osservatore, rigurgitando un angolo di mondo violento e attuale. Non era un caso il silenzio dei visitatori attorno a me.

Le parole non servivano. Honduras e Guatemala i Paesi in cui si ambientano i romanzi dell’orrore di Arcenillas. Fotoromanzi che difficilmente vedrebbero la pubblicazione su quotidiani generalisti. Un medico legale che apre la pancia a un cadavere di una donna durante un’autopsia. Funerali di bambini, arresti violenti e morti per strada. Foto potenti quelle di Arcenillas che denunciano la vita a San Pedro Sula e Tegucigalpa. Un morto ogni 74 minuti testimonia un’epidemia di violenza che Arcenillas ha saputo immortalare senza filtri.