La campagna elettorale repubblicana negli Usa si gioca anche sui confini meridionali del Paese.

Donald Trump, pochi giorni fa durante l’incontro con il presidente messicano Enrique Pena Neto, è tornato a parlare del muro che vuole innalzare al confine con il Messico (oltre a quelli che già ci sono) dichiarando che saranno proprio i vicini a pagarne le spese (anche se non sono chiari i termini della “spesa”).
Neto, con un tweet molto chiaro, ha negato che Città del Messico sborserà i quattrini.
Come sempre c’è chi vuole erigere un muro e chi, invece, quel muro vorrebbe scavalcarlo per sfuggire alla miseria o alla persecuzione.
Di recente sono stato alla mostra fotografica de L’Espresso a Palazzo Reale a Milano dove c’è una sezione dedicata proprio ai confini militarizzati. Tante le foto e tanti i nomi di fotoreporter che hanno pubblicato i propri lavori sulla testata. Tra tutte le foto ce n’è una che mi ha colpito.
La foto è stata scattata nel 1963 da Ian Berry e mostra due fratelli berlinesi che si rincontrano dopo essere stati separati dal muro per due anni. Una scena toccante che esprime in un flash cosa significa oltrepassare un confine “impossibile” e riabbracciarsi dopo tanto tempo. Famiglie intere di migranti, oggi, sperano di essere fotografate così.
La politica di confine, nel mondo, può essere riassunta così, con due semplici scatti.
A sinistra la foto vincitrice del World Press Photo 2016 di Warren Richardson a destra quella di Berry. Richardson (ne ho già parlato qui) descrive la disperazione di un padre che deve salvare il figlio e devo farlo passare attraverso il filo spinato. Dall’altra la felicità dei due fratelli di Berry.
