Un progetto “terzaniano”. Così è stato definito questo giro per l’Asia del giovane Matthias Canapini. La barba alla Terzani c’è, la voglia di scoprire anche. Tanto basta. 24 anni, di Fano (PU), Matthias ha sempre coltivato la passione di vestire i panni del viaggiatore.
Circa tre anni fa, durante un pranzo di Natale, in famiglia discutevamo proprio di questo: la guerra nell’ex Jugoslavia. Fatto sta che dopo questo episodio ho deciso di partire per la Bosnia
L’inizio del viaggio lo racconta così nel suo libro “Verso Est. Appunti di viaggio”. Con la sua macchina fotografica Matthias ha documentato le mine antiuomo in Bosnia, le adozioni in Kosovo, i campi degli sfollati in Siria o i ragazzi di strada in Romania. L’ultimo suo viaggio è quello verso est. Usando solo mezzi di trasporto locali, in sei mesi, Matthias, appoggiandosi ad ong locali, ha raggiunto la Cina e poi è tornato indietro facendo un breve tratto della rotta dei migranti nei Balcani.
Qual è stato l’episodio che più ti ha segnato sia positivamente che negativamente durante i tuoi viaggi?
Più ci penso e più capisco che non c’è un aneddoto, episodio o storia superiore o inferiore per impatto emotivo rispetto ad altre. Negli ultimi anni ho tentato di raccontare molte realtà diverse e la cosa più bella è sicuramente l’umanità delle persone che sopravvive anche nelle situazioni più drammatiche. L’ospitalità di chi ha perso tutto o ha ben poco è qualcosa che ti colpisce dentro, davvero. Ci si rapporta senza maschere, senza bugie o inganni. Si è se stessi, malgrado tutto. Per quanto riguarda l’episodio più negativo, quello che sento pulsare ogni giorno, forse sono le immagini viste negli ospedali civili in Vietnam, dove a distanza di quarantuno anni migliaia di bambini nascono ancora deformi per una diossina lanciata in tempi di guerra. Oppure le storie degli sfollati incontrati in Siria o Ucraina, i traumi dei superstiti al genocidio di Srebrenica – Bosnia. Non saprei, ogni storia è a sé … credo.
Il Paese che più ti ha coinvolto emotivamente per le storie, la cultura e le persone che hai incontrato?
Sicuramente uno dei paesi che mi ha coinvolto tantissimo è la Mongolia, un luogo dove vorrei ritornare con più calma. Un paese immenso dove vivono solamente tre milioni di persone di cui un milione e otto nella capitale. Zone mai toccate dall’uomo, pascoli infiniti e praterie immense dove la natura ancora è di gran lunga superiore all’uomo. Fiumi, montagne, steppe, laghi, deserti. La maggior parte degli abitanti credono allo sciamanesimo e lungo alcune rotte ci si orienta ancora in base alle costellazioni o bruciando le ossa delle pecore per prevedere il futuro. Un altro mondo sicuramente. Se però dovessi dire in che luogo mi sono sentito più a casa durante i vari viaggi, direi sicuramente la Valsusa. La comunità di anziani in lotta contro il TAV mi ha dato tanto e sento di essermi fortemente legato a quella cultura, a quelle persone.

Questi sono viaggi che generalmente cambiano chi li fa. Tu ti senti diverso da quando sei partito?
Si, credo di essere cambiato da quando ho iniziato questo cammino, ormai quattro anni fa. Sei in contatto con realtà dimenticate, lontanissime dal nostro quotidiano e per forza di cose ti estranea,ti cambia … ti senti diverso da prima. Inizialmente viaggiavo spinto dalla rabbia, volendo raccontare lo schifo del nostro mondo, ora credo di viaggiare con la stessa carica di rabbia ma con la consapevolezza che l’umanità è più forte degli orrori del nostro tempo. Viaggiando e raccontando certe realtà ho capito che è necessario avere maggior fiducia nelle persone, ho intuito di far parte di qualcosa di grande che si chiama mondo, dove secondo me non esistono veri confini o frontiere, ma siamo tutti uguali nella propria diversità. Sentiamo sempre parlare di numeri e percentuali ma ci scordiamo sempre che dietro le statistiche ci sono volti, nomi, storie, persone esattamente come noi. Il viaggio mi ha insegnato anche un’altra cosa, e cioè la bellezza di casa. Cogliere scene autentiche e bellissime anche sotto la propria abitazione e raccontare i piccoli gesti della tua zona. Viaggiare ti insegna a essere umile, a condividere, a vedere il mondo con occhi nuovi.

Hai prediletto i mezzi locali per spostarti da Paese in Paese, posso chiederti come affrontavi la tua quotidianità quando non lavoravi? Come preparavi l’impegno del giorno dopo?
Quando non sono impegnato con un reportage sul campo ma ho diverse ore o giorni liberi, solitamente cammino, mi butto sulla strada, mangio cibo del posto, vado a gesti coi venditori locali, cerco bettole sporche dove bere molta birra e osservare, prendere appunti. È sempre un contesto nuovo e la cosa utile e bellissima è stare quanto più tempo con le persone autoctone. Non ho mai preparato gli impegni in maniera troppo seria, semplicemente mi butto e una volta sul campo mi comporto come se avessi davanti un amico. Creare una sorta di empatia, sensibilità e avere sempre rispetto di chi ti sta di fronte.
Che attrezzatura avevi per scattare le tue fotografie? Pellicola o digitale?
Come attrezzatura ho una Canon digitale, molte utile per inviare fotografie o brevi video a casa. Coi rullini sarebbe praticamente impossibile aggiornare le persone che ti seguono da casa. Il più delle volte però non scatto mai, preferisco vivere il momento e scrivere tutto ciò che mi raccontano. Tante volte non ho scattato perché sentivo di infrangere il momento, sono scelte colte sul posto. Ultimamente sto tornando a scattare a pellicola per un nuovo progetto tutto italiano e chissà … vedremo che ne salterà fuori!
Hai avuto difficoltà a superare le frontiere? Penso soprattutto alla Cina o ai Paesi dell’estremo oriente.
Le frontiere più tese e difficili sono state quelle nelle zone di conflitto come Siria e Ucraina. In Siria sono entrato clandestinamente unendomi ad una associazione di Monza che portava aiuti umanitari all’interno dei campi sfollati a ridosso della Turchia. In Ucraina, per entrare nel Donbass, stessa cosa. Mi sono unito a due volontari della croce rossa per transitare in città come Sloviansk e avvicinarsi al fronte. Per il resto, superare confini di paesi come Cina, Russia o India non è semplicissimo forse, ma con l’aiuto di agenzie turistiche penso che si trovi sempre una via. È consigliabile non dire che sei li per fare fotografie o reportage, altrimenti devi avere visti specifici e spesso anche permessi per aree considerate difficili. Fare un bel respiro e sorridere spesso aiuta.

Hai raccontato del tuo viaggio con i migranti diretti verso l’Europa. Mi racconti in breve quell’esperienza? E come ti hanno visto i migranti stessi?
Dopo circa cinque mesi e mezzo di viaggio ho sentito di voler tornare il prima possibile in Europa. Sentivo di essere molto più utile vicino casa, per raccontare la rotta dei migranti nei Balcani. Ho raggiunto la città di Salonicco in Grecia e dal campo di Idomeni mi sono unito a qualche famiglia Afgana e Siriana in fuga dai conflitti. Abbiamo attraversato Macedonia, Serbia, Croazia, superando confini e trascorrendo del tempo nei campi d’accoglienza, dopodiché ci siamo divisi all’altezza di Nis, piccolo paesetto al confine con la Croazia appunto. Io sono tornato a casa e loro hanno proseguito il cammino verso il cuore d’Europa. I migranti, le famiglie incontrate non mi vedevano come un fotografo o giornalista, non ho mai tirato fuori la macchina fotografica , anzi, sui treni giocavo coi bambini, ho comprato un po di provviste per tutti, abbiamo mangiato insieme condividendo pane e dolci. Non mi interessava riportare a casa fotografie, solamente vivere l’esperienza. Uno di loro parlava inglese, ci siamo capiti, mi ha raccontato la sua storia: insieme alla moglie e la figlia di due mesi soltanto, hanno macinato chilometri a piedi dalle campagne di Kabul. Iran, Turchia, poi Bulgaria. Sul confine gli hanno sparato a vista, hanno cambiato rotta e raggiunto Idomeni. Chissà dove sono ora? Cosa pensano? Non so.