A Milano l’Islam è radicato da anni. Di tanto in tanto si torna a parlare di moschee, ma c’è reticenza e paura. L’immigrazione in Italia ha vissuto fasi diverse nel corso dei decenni. Se una volta c’erano soprattutto uomini che venivano a cercare lavoro per brevi periodi per poi tornare nel loro Paese d’origine, adesso ci sono intere famiglie a spostarsi definitivamente. I nuovi arrivati cercano luoghi di aggregazione da cui partire per iniziare una nuova vita e i centri di culto sono un punto di riferimento. A Milano, però, non esistono moschee. I musulmani devono adattarsi come possono. Il primo centro di culto a Milano nasce negli anni ’70 in via Anacreonte. Un semplice seminterrato. Nel corso degli anni nascono altri centri in via Rovigo, via Padova e poi a Cascina Gobba. Quest’ultima location altro non era che una palazzina dell’Enel dismessa e poi ricomprata. Ma la comunità islamica non era unita. Al suo interno si sono creati dei conflitti che hanno portato a tante piccole scissioni. Ad esempio gli Egiziani (la comunità più diffusa con 50 mila individui) si riuniscono nel centro religioso di viale Jenner.

Si è parlato spesso di questo garage e dei fedeli in preghiera sui marciapiedi e per le strade creando non pochi problemi al traffico cittadino. Per far fronte a questo problema il Comune ha messo a disposizione il PalaSharp per la preghiera del venerdì, ma l’inagibilità del tetto ha costretto a trovare soluzioni alternative. Intorno a viale Jenner si sono annidati sospetti di infiltrazioni jihadiste, ma non c’è stato nulla di confermato. Qualche dubbio è nato dalla frequentazione del luogo da parte di libici ed egiziani legati, a vario titolo, a organizzazioni fondamentaliste. Come l’ex imam Abu Omar condannato nel 2013 a 6 anni per associazione a delinquere con finalità terroristiche.

C’è poi la “moschea” di Segrate, che in realtà non è una vera e propria moschea. Paolo Branca, ricercatore di islamistica all’Università Cattolica di Milano sottolinea che è una cappella funeraria dove si svolgono soprattutto riti funebri.
Il problema delle moschee a Milano nasce dal fatto che manca un accordo tra le istituzioni e le autorità religiose. Sempre secondo Paolo Branca in Italia la costruzione dei luoghi di culto istituzionali delle varie religioni (valdesi, mormoni, ebrei, protestanti) sono state rese possibili grazie ad accordi tra lo Stato e le comunità. Con l’Islam questo non è stato possibile. Soprattutto a Milano. C’è la paura di un riconoscimento e, quindi, il conseguente obbligo di costruzione di una moschea. In vista di Expo2015 si è parlato di un progetto di questo tipo.


La giunta Moratti aveva escluso l’edificazione di una moschea, mentre quella di Pisapia era sembrata più propensa a portare avanti questo progetto. Il primo passo è stato proporre un censimento dei luoghi di culto delle religioni che non hanno accordi con lo Stato. Dai dati raccolti sono stati identificati anche circa 100 luoghi di culto evangelici, per lo più all’interno di appartamenti di cittadini provenienti dal Sudamerica, Asia e Africa. All’inizio il progetto è stato portato avanti dal vicesindaco Maria Grazia Guida, poi da Ada Lucia de Cesaris, subentrata alla Guida come nuovo vice di Giuliano Pisapia. A seguito delle dimissoni di de Cesari nel luglio 2015, la gestione delle trattative è stata affidata all’assessore alle politiche sociali Pierfrancesco Majorino. Due le moschee ipotizzate, una in viale Certosa e l’altra all’interno del PalaSharp. Ma le difficoltà erano anche all’interno della comunità islamica. Mancava la concertazione, l’intesa. Nemmeno il bando comunale per l’assegnazione della gestione dello stabile è andato a buon fine.
Ma chi sono i musulmani a Milano? Innanzi tutto va detto che ci sono molti italiani convertiti. Una conversione per certi versi anche politica. Sia esponenti di movimenti di estrema sinistra che di estrema destra hanno abbracciato Allah. Questi nuovi musulmani si avvicinano a visioni di Islam come rivincita sociale e metodo di lotta (sinistra) o come ritorno a una religione pura e perfetta, conservatrice e tradizionalista (destra che si rifà al guegonianesimo).
Ma questa visione politica non interessa molto gli immigrati e non ci sono particolari evidenze antisemite. Poi ci sono i Siriani. Pochi, ma potentissimi. Profughi degli anni ’80, questi sono soprattutto farmacisti, medici e notai. Istruiti, ricchi e integrati. Rappresentano la dirigenza delle organizzazioni e associazioni islamiche di Milano e d’Italia come l’Ucoii (Unione delle Comunità Islamiche d’Italia), il Caim (Coordinamento Associazione Islamiche di Milano) e il Gmi (Giovani Musulmani Italiani).
La maggioranza dei musulmani milanesi è rappresentata dai Sunniti. Pochissimi gli Sciiti e quasi nulla la componente ibadita (il terzo ramo dell’Islam, diffuso soprattutto in Oman).
Molto radicata la corrente sufi, quella più esoterica. Gabriel Mandel Khan è stato uno dei leader più carismatici del sufismo milanese e non solo. Bolognese di nascita è morto a Milano nel 2010 all’età di 86 anni. La particolarità di questa dottrina è stata la sua apoliticità. Non erano rare cene in cui si sedevano allo stesso tavolo rabbini, musulmani e atei.