Secondo il rapporto 2015 della Nato l’Italia ha ridotto la sua spesa militare del 12,4%, con una ricaduta dello 0,9% sul Pil. Jens Stoltenberg, segretario del Patto Atlantico, ha criticato questa scelta. Calano anche gli Usa che sono passati dal 5,32% del 2009 al 3,62% del 2015. Gli incrementi di spesa, rispetto al 2014, sono stati registrati da Lituania (+31,9%), Polonia (+21,7%), Slovacchia (+16,6%), Grecia (+10,1%) e Romania (+10,0%). Tutti Paesi dell’est Europa.
Ma quanto spende la Nato? E per cosa?
Ho già scritto sulle spese militari dei vari Stati e sulla presunta utilità della Nato in un mondo assai diverso da quello in cui è sorta.
Il grafico qui sotto ce lo spiega

Le spese, anche al termine della Guerra Fredda, sono aumentate. Al breve calo degli anni ’90 si accompagna una nuova ripresa. La caduta del muro di Berlino ha rafforzato l’egemonia americana, motore trainante della coalizione e anche le spese militari sono diminuite. Come si vede, tutto è cambiato con il 2001 e l’inizio della guerra al terrorismo.
La Nato ha speso più negli ultimi anni che durante il conflitto con l’Urss. Questo, in parte, perché sono aumentati i Paesi coalizzati. Nel 2004 sono entrati tutti quegli Stati ex sovietici che tutt’ora vedono di buon occhio un Nato forte e in salute, capace di tutelarli contro le pressioni di Mosca.
Il successivo calo, a partire dal 2010, può essere spiegato con la caduta di Gheddafi. È difatti questa l’ultima missione ufficiale dell’Alleanza. I teatri delle Primavere Arabe o del conflitto in Ucraina o in Siria non sono scenari nella quale la Nato può intervenire a cuor leggero. La Russia è guardinga e si danza sul filo delle diplomazie.