Il 2015 si è concluso portandosi dietro molte aspettative tradite. Ci si aspettava un referendum sull’unificazione dell’isola, ma ciò non è avvenuto. I negoziati sono andati avanti, ma non si è ancora trovata una soluzione.
Il 2016 sarà un anno cruciale per tutta l’isola
ha dichiarato qualche giorno fa il presidente greco-cipriota Nikos Anastasiades. Non è chiaro se sia il classico spot di inizio anno. Sta di fatto che l’isola è ancora divisa. La strada è lunga, ma c’è chi coltiva il sogno di veder sventolare un’unica bandiera a Cipro, all’insegna dell’integrazione tra Greci e Turchi.
Uno di questi è George Lordos, 48 anni, un attivista greco che è dovuto fuggire dalla sua casa a Famagosta quando i Turchi invasero l’isola nel 1974.
Lo incontro al villaggio di Pyrga, a una ventina di chilometri dall’areoporto di Larnaca. Il taxi mi conduce tra valli e colline aride, fino a raggiungere questo piccolo centro abitato. George mi viene a prendere nel luogo dell’appuntamento, davanti alla chiesa di Santa Marina. Raggiungiamo la sua casa in cima alla collina che sovrasta il paesino e mi offre il Rose Cordial, una bevanda dolce che va accompagnata con l’acqua. Rinfrescante in una caldissima giornata d’estate.
George, lei aveva solo 7 anni quando ci fu lo sbarco dei Turchi a Famagosta. Cosa è accaduto quei giorni?
«Quando arrivarono i Turchi, trasformai la mia camera in una zona di guerra. Fingevo di sparare con fucili giocattolo dalla mia finestra. Non avevo la consapevolezza di ciò che stava accadendo. Per me era tutto un gioco. Vedevo le navi arrivare sulla spiaggia e mio padre era spesso sul tetto a guardare lo sbarco delle truppe, mentre l’allarme impazzava. Non mi voleva con lui, così, per parlare, utilizzavamo dei megafoni artigianali fatti con la parte superiore delle bottiglie».

I combattimenti sono durati svariati giorni. Come vi siete comportati voi in famiglia?
«Speravamo di poter restare, ma alla fine abbiamo dovuto abbandonare la città. Sentivamo le cannonate e mio padre seguiva come poteva le notizie che arrivavano dalla spiaggia. Quando mia madre portò via me e i miei fratelli e andammo in un villaggio vicino, non pensai che non sarei mai più ritornato a casa mia. Mi resi conto di aver perso tutto molto tempo dopo».
È fuggito nel bel mezzo dei combattimenti, quindi.
«Sì, prima che la città fosse invasa. Molti Greci sono caduti per le strade di Famagosta, così come all’areoporto di Nicosia».
Cosa è successo dopo? Come ha vissuto?
«Ho vissuto normalmente, per quanto fosse possibile. Sono andato a scuola, mi sono diplomato, ho studiato economia e ho iniziato a lavorare. Per fortuna il lavoro di mio padre, architetto, ci ha permesso di andare avanti. Come lui, poi, anche mio fratello è diventato architetto».
Adesso lei è un’attivista e lotta per l’unificazione dell’isola.
«Sì. La maggioranza della società civile vuole una sola Cipro, magari sul modello federale belga. Siamo un unico popolo. Crediamo molto anche nel referendum che speriamo si faccia presto. Nel 2004 il referendum ha fallito. Tutti si aspettavano la vittoria del “sì” all’unificazione, ma un colpo di coda dell’allora presidente grecocipriota Tassos Papadopoulos, a pochi giorni dal voto, ha drasticamente cambiato le carte in tavola. Il 76 percento dei Greci ha votato contro l’unificazione, vanificando il 65 percento dei voti favorevoli da parte turca».
Lei è membro della Bicommunal Famagosta Initiative, associazione di nove persone che lotta per l’unificazione cipriota e informare la popolazione riguardo le vostre iniziative. Quali risultati avete ottenuto in questi anni?
«Buoni risultati, soprattutto per quanto riguarda il passo di Deryneia, un piccolo villaggio a sud di Famagosta. Due cortei, uno greco e uno turco, hanno manifestato per la riapertura del passaggio e collegare così Protaras (punta sud est dell’isola, sponda greca) e Famagosta. Il nuovo varco unirà le due località in soli quindici minuti contro i quaranta che ci vogliono ora».
Tra le vostre campagne c’è anche quella di rivalorizzare Famagosta e renderla nuovamente abitabile dopo più di 40 anni. Quali sono i vostri obiettivi?
«Vogliamo fare del centro storico di Famagosta un patrimonio Unesco. Grazie anche al supporto della cittadinanza, dell’Unione Europea e delle Camere di Commercio greca e turca, nonché di uomini d’affari di alto profilo, sarà possibile fare di Famagosta una “eco-city” e valorizzarne il potenziale. Vogliamo creare una città da XXI secolo».
Dopo l’abbandono a seguito dell’invasione turca, Famagosta non è più la stessa. L’atmosfera lieta della località balneare ha lasciato spazio a una tristezza diffusa. L’abbandono regna sovrano, anche tra le villette che di tanto in tanto compaiono lungo le strade cittadine. Ci sono ristoranti, bar, autofficine, e anche l’università, ma lo spettro di Varosia incombe. E si sente.
Dopo l’attacco, il quartiere di Varosia è stato recintato e tutti gli abitanti greci che fino a poco prima vi vivevano, tra cui lo stesso George, sono stati costretti a fuggire. Le loro case, però, sono ancora lì.
Muri, filo spinato e cartelli intimano di stare alla larga. Si vedono ancora gli squarci che le bombe hanno provocato ai tetti e alle pareti. Gli abitanti convivono con lo spettro. Aprono la finestra per far arieggiare una stanza e dall’altra parte della strada, a meno di 4 metri, si trovano catene, recinzioni e persiane trivellate dai colpi. Se si prosegue per Polatpasa Bulvari e poi lungo Nekati Taskin e Kavunoglu Caddesi si nota una differenza inquietante: a sinistra il silenzio di Varosia, a destra il tramestio delle cucine o il suono delle televisioni accese.
Della Saint-Tropez cipriota non è rimasto nulla. Sulla spiaggia più “in” del paese, Palm Beach, si affacciano alberghi un tempo lussuosi e ora abitati solo dai piccioni. I ciprioti non ci fanno più caso. I turisti, invece, fotografano quella che è diventata una macabra attrazione. Si sa poco, ancora, del destino dei progetti che vorrebbero far rivivere Varosia e della creazione di nuovi insediamenti in città.
Le cose ora stanno cambiando? È stato anche ipotizzato l’ingresso di Cipro Nord nell’Eurozona, sostituendo l’attuale Lira Turca. Un altro passo in avanti ben visto da entrambe le comunità. Chissà che Anastasiades non abbia ragione nel ritenere il 2016 l’anno buono.
Nel frattempo a Varosia si sta in spiaggia, si mangia qualcosa nei ristoranti e alle spalle campeggiano bestioni dimenticati di cemento e acciaio. Come dei guardiani immobili e silenziosi, ammutoliti da oltre 40 anni.