Baghdad 11 gennaio 2016 – 40 morti
Istanbul 12 gennaio 2016 – 10 morti
Una differeza rilevante, non solo nel numero dei decessi. Lo spazio che i giornali hanno riservato ai due attentati è sostanziale.
La parola più ricorrente è strage.
Nei giorni dell’attentato a Baghdad la notizia è stata decisamente sottovalutata e trattata nelle pagine interne dei giornali. Istanbul, nonostante il minor numero di morti, ha avuto molto più spazio, anche in prima pagina. E i morti sono solo 10. Rispetto per le vittime, ma questi due attentati sono un chiaro esempio di come si muova il giornalismo italiano.
Segue una regola semplicissima: quella della prossimità.
Più un evento è vicino, più attira l’attenzione del lettore e di una redazione. Istanbul non è poi così distante dalla “nostra” visione del mondo; è un Paese tutto sommato occidentale, ha fatto richiesta per entrare nell’Unione Europea, è membro (fortissimo) della Nato. Inevitabile l’empatia dei media per i morti “europei”.
E l’Iraq? Un paese allo sbando, divorato dall’Isis e da un governo che non sa uscire dal pantano. La cultura islamica e la recente “occidentalizzazione” da un punto di vista geopolitico, lo rendono un paese lontano. E pensare che è la culla delle “mille e una notte”.
La prossimità è una caratteristica di ogni tipo di giornalismo, ma in Italia è particolarmente accentuato. Se guardiamo i programmi francesi o spagnoli o leggiamo i loro giornali, si leggono molte più notizie internazionali, prevalentemente dalle regioni africane e sudamericane. Per certi versi c’è ancora un retaggio coloniale. In Italia questo non avviene. Siamo più provinciali. Ci accorgiamo dell’estero solo se un determinato fatto tocca i nostri interessi o un concittadino rimane coinvolto. Anche in Camerun è accaduta una strage; 10 morti in una moschea dove si sono fatte esplodere due donne kamikaze. L’evento è rimbalzato sui siti, ma nessuna risonanza mediatica come la Turchia. Ancora la prossimità. Il Camerun è lontano. La Turchia no.
E’ vero, la nostra informazione è molto provinciale, girando un pò per l’Europa forse complice quelle eredità “coloniali” di cui noi abbiamo perso i contatti, a quello che succede nel mondo viene dato molto più spazio. Però il criterio della prossimità è comunque un criterio… come si fa a dare a tutte le stragi la stessa rilevanza, ce n’è ormai almeno una al giorno… alla fine non sarebbe ancora più anestetizzante? O ogni volta bisogna ricordarsi delle altri stragi se no si passa per ipocriti (e ai nigeriani non ci pensate… e ai keniani… e ai russi…)?. Lo dicevo in un post sulla strage di Parigi, poco tempo fa: non ce la possiamo fare a star dietro a tutti gli orrori, dopo tutto siamo limitati…
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Hai perfettamente ragione. Però vedi, accadono eventi più gravi (e parlo di numero di vittime) in luoghi più distanti nel mondo e i media italiani tendono a relegarli tra la ultime news. Guarda il Camerun, stessi morti, eppure nessuno spazio. Viene usata la parola strage con troppa leggerezza e si da enfasi solo ad alcuni eventi. Che poi si debba fare una scelta è ovvio, però a volte si dovrebbe guardare oltre la staccionata del proprio giardino. Magari sbaglio eh…
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No non penso che sbagli, del resto nemmeno delle guerre che ci sono in giro ora, in questo momento, si parla pochissimo se non quando viene ucciso qualcuno dei “nostri”…
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In questi casi bisogna capire cosa davvero interessa ai lettori. Le notizie che riguardano “i nostri” sono forse più importanti delle altre? Forse sì perchè una persona tende a rapportarsi più con ciò che accade a un suo concittadino che con ciò che accade a qualcun altro. Guarda i giornali locali. A differenza delle testate nazionali stanno resistendo molto di più alla crisi dell’editoria. Forse perché questa famigerata “prossimità” interessa molto di più…
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