La direzione di Medici senza frontiere ha pubblicato un rapporto sul bombardamento americano sull’ospedale che loro gestivano a Kunduz, in Afghanistan, dal 2011.
Il centro traumatologico è stato indispensabile nella regione, in quanto numerosi sono stati i pazienti lì ricoverati e salvati. Un impianto con 92 posti letto, cresciuti fino a 140 alla fine di settembre, per un totale di 460 tra operatori sanitari, medici e infermieri. Oltre 15mila operazioni e più di 68mila pazienti operati dall’apertura a oggi.

L’operato dei medici in zone di guerra è tutelato dalla Carta dei Diritti dell’Uomo, ma a Kunduz le cose sono andate diversamente. Un motivo? Forse la neutralità e il trattamento indistinto tra forze governative e Talebani, anch’essi ricoverati nella struttura (due sono arrivati lunedì 28 settembre alle 18.00).
Nella settimana precedente al bombardamento, intorno a Kunduz i combattimenti sono aumentati e con essi la sicurezza dei vari compound utilizzati dalle associazioni. Msf, stando al rapporto, ha fornito tutti i dati della sua location e ha aumentato il numero delle bandiere sui propri edifici. Inoltre, nella notte dell’attacco, l’ospedale era l’unico edificio con le luci accese in città. Quella notte del 3 ottobre, è accaduto di tutto e dal cielo hanno iniziato a piovere bombe. Quasi due ore di piombo. Tra le 2.19 e le 3.18 il telefono di Msf scottava. Continue le chiamate di aiuto, ma poche risposte se non “preghiamo per voi” dall’ufficio del Resolute Support di Kabul.
Caos e morti. Torce umane nei propri letti e bambini intrappolati nelle stanze del compound ospedaliero. Un disabile in sedia a rotelle, nel tentativo di fuggire, è stato colpito da un frammento provocato da un’esplosione.

L’immagine mostra come il bombardamento sia stato molto più chirurgico di quanto sia stato fatto credere. L’ospedale è stato colpito con estrema precisione. 30 il numero delle vittime: 10 pazienti, 13 membri dello staff, 7 sconosciuti e 3 scomparsi. All’alba sono intervenute le forze armate afgane. In parte per soccorrere, in parte per cercare i talebani nella struttura. Nel caos, secondo il rapporto, nemmeno le ambulanze sono state risparmiate. Una a una venivano controllate per evitare la fuga di Talebani. E proprio su una di queste è stato aperto il fuoco.
Il governo afgano ha parlato di “danno collaterale” e gli Usa si sono semplicemente scusati per il “tragico incidente”. Incidente o meno, il governo di Kabul aveva affermato che all’interno della struttura ospedaliera erano presenti dei Talebani, gonfiando le teorie che vorrebbero il bombardamento voluto e non accidentale.
Ecco la testimonianza della dottoressa Cristina Castellano che ha lavorato al Pronto soccorso e nella Terapia intensiva dell’ospedale a Kunduz fino allo scorso settembre, rilasciata sul sito di Medici senza frontiere.
L’imparzialità, l’umanità, l’assenza di pregiudizio e la professionalità sono alla base del nostro soccorso. Ho lavorato fianco a fianco con personale afghano e internazionale, persone eccezionali, dedite al lavoro e alla loro gente, come è d’obbligo per ogni medico, ogni paziente che arrivava veniva curato indipendentemente dall’etnia o credo religioso o politico, chiunque avesse bisogno di aiuto veniva assistito, nessuno di noi si ergeva a giudice, facevamo semplicemente il nostro lavoro. Lavoravamo continuamente h 24 , 7 giorni su 7, ci confrontavamo con le continue difficoltà di quella gente oramai stremata. Molti miei colleghi avevano meno di 30 anni, sono nati con la guerra e non hanno mai potuto lasciare il paese, non hanno mai visto e vissuto la pace, erano affranti per questo ed era il loro più grande sogno: la pace. Oggi, a un mese dall’attacco del nostro ospedale a Kunduz, che pone un interrogativo enorme sul dove la (dis)umanità si stia dirigendo, voglio dedicare un pensiero speciale ai nostri pazienti, bruciati vivi nei letti.
Il risultato di questa operazione ha fatto sì che Msf abbia abbandonato la regione in quanto non è più stato possibile garantire la neutralità dell’ente.