L’acqua è un bene essenziale. Si sa, ma è bene ribadirlo. L’aumento delle temperature globali dovrebbe far riflettere sul fenomeno della desertificazione e la necessità di sempre più persone ad accedere alle fonti d’acqua. Non è una cosa da poco. In passato carestie e siccità hanno innescato processi violenti contro l’autorità costituita portando a rivoluzioni o guerre.
Uno studio del Proceedings of the National Academy of Sciences definisce la siccità come la principale ragioni per cui sarebbero scoppiate le prima rivolte in Siria. L’imputata è la siccità del periodo 2007-2010 e il conseguente calo di produttività del suolo. Lo spostamento dalla campagna alla città ha esasperato gli animi e la situazione sarebbe sfuggita di mano. I Siriani si sono ribellati perché affamati? Suggestiva come ipotesi, ma la storia insegna che gli eventi non sono mai determinati da una causa sola. Quanto accaduto in Siria tra il ’10 e il ’12 è stato frutto di una serie di motivi concatenati tra loro; interessi stranieri, governo oppressore, terrorismo islamico e, perché no, carestie.
Le guerre per le risorse, comunque, si sono verificate, anche se su scala ridotta, e di conseguenza sono aumentate le migrazioni. Secondo un rapporto dell’Organizzazione internazionale per le Migrazioni negli ultimi trent’anni sono aumentati gli spostamenti di intere popolazioni a causa dei cambiamenti climatici. Anche la Legambiente Italia è d’accordo. In un rapporto del 2012, vengono riportate le stime di diverse istituzioni internazionali, tra cui il Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati: Entro il 2050 ci si aspettano tra i 200 e 250 milioni di rifugiati ambientali, con una media di 6 milioni di uomini e donne costretti ogni anno a lasciare i propri territori. Migrazione di massa.
Simone Sarchi su The Post Internazionale racconta questa vicenda:
Daniel Sempui è un pastore masai di trent’anni, che vive insieme alla sua famiglia sulle pendici del vulcano Suswa, a pochi chilometri da Nairobi, in Kenya. L’area è soggetta a prolungati periodi di siccità durante l’anno. Quando ero ragazzino – spiega il pastore – la terra attorno a noi era verde e rigogliosa. Le stagioni delle piogge erano più lunghe e le quantità d’acqua che riversavano, più abbondanti. Ora, invece, capita che le piogge non si presentino proprio, in quei periodi, o che non siano sufficienti a idratare il terreno e riempire i fiumi.
Attualmente nel mondo si contano 261 bacini idrici suddivisi tra 145 nazioni nelle quali risiede più del 40% della popolazione mondiale. Secondo Giovanni Spataro il 60% dei fiumi e dei laghi condivisi e gli acquiferi contesi tra più paesi non ha alcun sistema di sfruttamento comune e cooperativo.
Le zone più a rischio desertificazione, nemmeno a farlo apposta, sono quella subsahariana e quella mediorientale.

La mappa illustra alcuni scenari inquietanti. L’Etiopia che dal 2011 minaccia la riserva idrica egiziana e sudanese con una diga sul Nilo, la Turchia che potrebbe prosciugare le riserve irachene, il Tagikistan scuote l’Uzbekistan con la diga più alta del mondo e il Laos, che, seppur piccolo, vuole la sua diga sul fiume Mekiong. Vietnam, Cambogia e Thailandia storcono il naso, preoccupate per la riduzione della pescosità nelle loro acque.
Come si vede dallo schema anche in Sud America i confini sono delineati da falde acquifere. A parte Colombia e Venezuela (ultimamente ai ferri corti) gli Stati sudamericani sono quelli meno focosi. Di acqua ne hanno in abbondanza, il problema, per loro è la deforestazione.
In soldoni, quando vi lavate i denti, chiudete il rubinetto…