Quando una foto è sufficiente a scatenare l’indignazione internazionale. É bastato un bimbo a faccia in giù su una spiaggia di Bodrum, in Turchia, per commuovere il mondo e farlo riflettere sul problema dell’emigrazione mediorientale.
La gente muore tutti i giorni, ma solo quando vediamo dei bambini ci rendiamo conto di quanto terribili possano essere le situazioni da cui masse di disperati fuggono. In questi giorni il programma di La7 “In onda” ha mandato in diretta un video dalla frontiera ungherese, centro nevralgico del “via balcanica”. Le immagini mostrano i profughi irritati dai gas urticanti usati dalle guardie di frontiera di Orban. C’erano anche i bambini.
E che dire dei bambini palestinesi uccisi dai raid israeliani a Gaza nel 2014 durante l’operazione “Margine di protezione”? Apriti cielo! Tutti sconvolti per le immagini che hanno fatto il giro del mondo. Vero è che i bambini fanno sempre saltare sulla sedia; non è facile digerire l’idea di una vita spenta troppo presto. Mauro Biani ha pubblicato una sua vignetta che definire “graffiante” è un eufemismo.

La forza di queste immagini cambiano perfino le politiche esteri dei grandi Paesi. Il premier britannico David Cameron ha improvvisamente dichiarato di voler accogliere i profughi quando, fino a poche settimane fa, era convinto nell’alzare uno sbarramento a Calais in accordo con il governo di Parigi. Quanto abbia influito la foto, a dire il vero, è difficile saperlo. Forse molto poco, ma la politica vive anche di simboli, soprattutto ora che l’Europa è sotto il fuoco incrociato dei partiti xenofobi e di chi, invece, preme per l’accoglienza. Servono delle risposte da un’Ue molto divisa su questi temi. Da fuori l’Islanda sta insegnando; a seguito di una petizione online il governo ha acconsentito ad affidare ad alcune famiglie richiedenti il ricovero dei migranti. Da dentro, la Germania ha deciso di limitare il patto di Dublino II. L’Ungheria blocca le partenze dei profughi verso la mittleuropa, creando un vero e proprio accampamento davanti la stazione di Budapest. In Austria sono previsti 10 mila arrivi nella sola giornata del 5 settembre. Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia si ostinano a non volere le quote obbligatorie ora che anche la Francia sembra aver ammorbidito la propria posizione.
Il caos. E in tutto questo si continua a viaggiare e a morire.