Rio sangue: quando si muore per l’Amazzonia

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Domenica 26 aprile 2015 è morto uno dei simboli della battaglia degli indigeni dello Stato di Maranhão, in Brasile, contro la deforestazione illegale: il suo nome era Eusébio.

Leader del popolo Ka’apor, è stato ucciso da due uomini incappucciati a bordo di una moto. Due colpi alla schiena e pratica archiviata da parte dei sicari. I mandanti? Ipotesi e poche certezze. “Hanno ucciso l’uomo ragno…avrà fatto qualche sgarbo all’industria di caffè” recitava una famosissima canzone degli 883. Non avremo a che fare con un super eroe, ma certamente Eusébio è stato la bandiera della lotta contro le multinazionali del legno.

A denunciare l’omicidio è stato Cleber César Buzatto, segretario esecutivo del Consiglio missionario indigeno di Maranhão, a New York, al forum permanente dell’Onu.

Ma che cosa succede in quella fetta di mondo? Lo Stato di Maranhão è situato nel nord-est del Paese ed è contraddistinto da una asperrima guerra per la salvaguardia della foresta pluviale.

Greenpeace è attivo sul territorio e, tra agosto e settembre 2014, ha monitorato segretamente gli spostamenti dei convogli per il trasporto del legname grazie a dei Gps.

Il procedimento è semplice: i camion vuoti entrano nella foresta, vengono riempiti e poi, nottetempo, scaricano la legna alla segheria Santarém, centro dell’industria del legname in Amazzonia. Falsificazione dei documenti e via, il legname può essere esportato in Europa, Cina, Giappone e Stati Uniti (qui il rapporto 2014 di Greenpeace).

I "custodi" Ka'apor dopo aver catturato alcuni deforestatori.  Foto Reuters
I “custodi” Ka’apor dopo aver catturato alcuni deforestatori.
Foto Reuters

I danni ambientali e sociali sono incalcolabili. L’Amazzonia è la casa delle popolazioni che la abitano. Tutta la loro società si basa sulla simbiosi con la natura. Per capire la loro situazione basta immaginare di ritrovarsi delle ruspe in salotto che portano via il divano e i muri.

I Ka’apor cercano di difendere il loro territorio, ma sono soli, senza sostegno da parte del governo, che dovrebbe impegnarsi invece a far rispettare la legge

afferma Madalena Borges del Consiglio Missionario Indigeno di Maranhão a cui fa eco Chiara Campione di Greenpeace Italia.

Quello che incoraggia le imprese a rubare il legname dalle terre indigene è il fatto che la refurtiva possa facilmente essere spacciata per prodotto legale e venduta, anche sul mercato internazionale, senza problemi. Questo genera conflitti sociali e talvolta persino omicidi

I livelli di deforestazione in Brasile dal 2007 al 2013.  Fonte: Mongabay.com
Fonte: Mongabay.com

 

Gli illeciti avvengono grazie alla mancanza di controlli da parte dei vari governi, centrali e federali. Questa carenza impone un’organizzazione dal basso da parte degli abitanti stessi delle zone interessate dalla deforestazione illegale. Da molti anni i Ka’apor combattono con le unghie e con i denti per difendere il loro patrimonio ambientale.

Ma sono soli a opporsi all’interesse di gruppi criminali e industrie del settore.

L’omicidio di Eusébio è solo un esempio di questa guerra silenziosa, combattuta tra le paludi, le zanzare e l’opprimente umidità. Il maggior fiume dello Stato, il Tocantins, si sta macchiando di sangue. Ma nessuno sembra accorgersene.

Un commento Aggiungi il tuo

  1. giomag59 ha detto:

    Bellissimo articolo, come sempre, avevo seguito un pò la vicenda su Greenpeace ma questa sintesi è molto chiara, grazie

    Piace a 1 persona

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