La situazione in Yemen è precipitata. Il colpo di Stato dei ribelli Houti ha innescato una violenta reazione a catena e anelli di questa catena sono gli altri paesi della penisola. L’Arabia Saudita ha iniziato il 25 marzo a bombardare gli insediamenti degli Houti, appoggiando direttamente il governo (o quello che ne rimane) di Mansur Hadi.
Riyad è a capo di una coalizione di circa 20 paesi tra i quali Egitto, Giordania, Emirati arabi uniti, Kuwait, Qatar, Bahrein, Marocco e Sudan. Gli Stati Uniti appoggiano logisticamente l’operazione nel tentativo di non lasciare il paese in mano agli Sciiti.
Gli Sciiti, proprio loro. Quella piccola fetta di musulmani non sunniti legati a doppio filo con l’Iran. Teheran ha denunciato pesantemente l’attacco in Yemen e ora si apre un fronte nuovo nella penisola arabica.

Da un tweet dell’emittente Al Jazeera, sembra che anche la Cina si sia schierata a favore degli Houti, affiancando l’Iran.
Ma come sta accadendo in Libia, lo Yemen è attraversato anche da un conflitto ben più profondo.
Scrive Ghaith Abdul Ahad su “Internazionale” del 27 marzo:
Lo Yemen non ha una lunga storia di conflitti su base confessionale. Le due principali correnti dell’Islam yemenita, gli sciiti zaiditi e i sunniti shafiti, sono considerate moderate e hanno poche differenze tra loro
Le differenze non saranno eccessive, ma quelle poche che forse ci sono hanno servito su un piatto d’argento le motivazioni ai paesi sunniti per intervenire e difendersi dalla possibile ascesa sciita nella regione. Gli Houti, comunque, sono una minoranza. Non sono pochi i gruppi, anche terroristici, di confessione sunnita.

Spunta subito il nome di Al Qaeda e la memoria torna alla cellula che operò il 7 gennaio a Parigi contro la sede di Charlie Hebdo. In tutto questo c’è anche l’Isis e la rivendicazione del 20 marzo di un attentato in due moschee sciite nella capitale Sana’a. Un mosaico di fazioni, insomma.

La diplomazia giocherà un ruolo fondamentale. Si rischia non solo spaccare il Paese in due (o più parti), ma anche di fomentare un nuovo focolaio bellico nell’area mediorientale. La Libia e la Siria non sono lontane. L’Egitto sta pensando ad un intervento di terra. L’Iran si ritrova sempre più isolato. La monarchia saudita cerca di rafforzare la sua egemonia nella regione.
I carrarmatini colorati si spostano verso il Golfo. Il Paese è in ginocchio e le grandi potenze, per interesse, tirano i dadi per conquistare nuovi territori. Di chi è il turno ora?
Che guazzabuglio… l’Egitto che da in Libia bombarda l’Isis (sunniti pure loro…) e dall’altra si mette contro l’Iran, che si stava riavvicinando agli Usa… Paesi del golfo che sostenendo la destabilizzazione di Assad hanno favorito la crescita del Califfato… e fanatici a bizzeffe da tutte le parti! Aridatece er puzzone, si diceva una volta…
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E’ tutto un gioco di potere che, assieme a strategie cieche delle potenze occidentali, ha creato questa destabilizzazione.
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