Negli ultimi anni il Mali è stato al centro della cronaca bellica a causa della guerra civile sul suo territorio. I media italiani hanno coperto relativamente poco l’evento, a differenza, invece, della Francia, molto più focalizzata su ciò che stava avvenendo nella sua ex colonia.
Qui un reportage dell’emittente France 2 del 22 aprile 2013.
Le guerre civili in Mali non sono mai state una “notizia”, perché l’instabilità è una costante delle zone saheliane.

Foto da Wikipedia
L’Azawad ne è un esempio. Quest’area costituisce circa il 70% del territorio maliano ed è prevalentemente abitata da popolazioni tuareg. Queste genti hanno sopportato a denti stretti la convivenza con i neri maliani del sud (nonostante momenti di tensione e lo scoppio di brevi guerre civili) fin dall’indipendenza del Mali nel 1960. Con il colpo di stato del 2012, però, la situazione è degenerata di nuovo e il Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad ha trovato terreno fertile per combattere il governo centrale di Bamako.
La convivenza tra nord e sud non è mai stata un problema risolto. C’è sempre stata una forte distinzione tra i due popoli ed è in virtù di questo spirito di ambivalenza che il MNLA (fondato nel 2011 in quanto costola del partito Movimento Nazionale dell’Azawad) ha iniziato la sua crociata per l’indipendenza.

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Ma sul campo si è giocata anche un’altra partita, forse più difficile. Numerosi gruppi jihadisti hanno iniziato a collaborare con il MNLA, nonostante quest’ultimo sia di matrice laica. In pochi mesi lo scenario è totalmente cambiato. Con l’operazione internazionale “Serval” guidata dalla Francia (risoluzione Onu 2085 del 20 dicembre 2012) il Mali e l’Azawad sono diventati terreno di scontro per il controllo di uno Stato fondamentale nel controllo del Sahel in chiave antiterroristica. Il risultato è stato che il MNLA ha perso il controllo della situazione in favore delle frange più estremiste del jihadismo saheliano, in particolare quelle legate al wahhabismo.
In tutto questo, la separazione dell’Azawad è rimasta sottotono (qui il testo della dichiarazione d’indipendenza). La scelta dei separatisti è stata chiaramente unilaterale dato che il Mali non ha mai riconosciuto la nazione tuareg.
Se si osserva a fondo il sostrato culturale del Mali ci si rende conto che le differenze tra neri e Tuareg sono enormi. Questi ultimi sono prevalentemente nomadi e sono di lingua berbera, mentre in Mali non è riconosciuto altro idioma che il francese.
La differenza è notevole. La lingua è il canale identitario principale per un popolo. Se non vi è riconoscimento, non vi è unità. Come per la lontana Georgia, il motto del Mali sottolinea l’aspetto dell’unità della “nazione”. Il problema è che questo concetto semplicemente non sussiste.
Altri esempi di nazioni tuareg in rivolta sono quelle in Niger come il Fronte delle Forze per il Risanamento e il Movimento dei Nigerini per la Giustizia.
La problematica tuareg non è una questione da nulla. Sono una delle poche popolazioni rimaste nomadi sul pianeta. Hanno un forte senso identitario e un grande attaccamento alle proprie tradizioni. Il confronto tra la capitale Gao nell’Azawad e Bamako in Mali scoperchia un vaso di Pandora; si parla tanto di integrazione in questi anni, di migrazioni e di accoglienza. L’accoglienza è sacrosanta e doverosa, ma cosa succede quando due popoli tanto diversi si trovano insieme in un territorio troppo stretto per entrambi? Provate a mettere due topi in una pentola…cosa faranno?
A volte il problema è proprio la soluzione che gli “occidentali” vorrebbero trovare ai loro conflitti sociali; la convivenza.